Il valore di lasciarsi sorprendere
“Pensavo fosse amore invece era un calesse”1è l’espressione che subito si accende in me ogni volta che vengo sorpresa dalla scoperta che ciò che credevo non è.
La reazione di fronte allo stupore2 del fenomeno che svela tale differenza è la curiosità di indagare per conoscere se esso sia qualcosa di esterno, quindi dell’Altro e del mondo, o invece mi appartenga e si riveli essere già parte, precedentemente esclusa dalla mia consapevolezza, del mio modo di sentire o di reagire.
È indubbio che trovarsi inaspettatamente di fronte al nuovo confonde, scuote le nostre certezze, perfino le sgretola, e che la tentazione di fuggire, di tornare indietro alla solita rassicurante modalità di percepirci, a volte è così invadente e pervasiva che nascondere la testa sotto la sabbia, depotenziare l’evidenza dell’esperienza traducendola in un inganno dei sensi, e accusare gli Altri di essere responsabili e complici di quell’indesiderabile svelamento, può essere il modo più immediato per difenderci.
Eppure, appare scontato che non siamo in grado di controllare le manifestazioni improvvise che mostrano l’esistente estraneo a noi stessi, e che, per quanto possano apparirci pericolose, ad esse possiamo soltanto aprirci trovando il coraggio e la generosa dose di tenerezza per accoglierle. Nonostante la consistente quantità di pregiudizi che accompagnano la raffigurazione introiettata di noi e del mondo circostante, “buttare via il bambino con l’acqua sporca” sarebbe una perdita troppo onerosa per noi.
Affrontare l’abisso che si spalanca davanti ai nostri cuori ha il potere di illuminarci di cambiare l’intera rappresentazione di noi nel mondo, di dotarla di un senso che prima non potevano immaginare, al quale conviene non sottrarsi perché la rivelazione una volta emersa, anche se negata dalla presunzione di sapere già chi siamo e dagli inganni di cui ci nutriamo nel piccolo mondo di convinzioni personali in cui abitiamo, ha messo radici e, prima o poi, troverà una nuova via per mostrarsi.
Se chiuderci non ci porta benefici invece, prenderci il tempo di accogliere, osservare, “masticare e sputare”3, di integrare il nuovo, è ciò che ci arricchisce impedendoci di cadere nell’illusorio ideale di perfezione proposto quotidianamente come “via regia” alla felicità.
1- “Pensavo fosse amore invece era un calesse” film del 1991, interpretato e diretto dal grande Massimo Troisi, sceneggiatura di Anna Pavignano e Massimo Troisi.
2- Ciò che mi ha sorpreso questa settimana è prendere atto che, contrariamente a ciò diffonde intorno a me il pensiero corrente, la meraviglia non ha sempre un’accezione positiva, ed è proprio quando ci lascia basiti che accogliere ciò che ci mostra può davvero aprirci all’inaspettato, traducendo ciò che accade in esperienza arricchente. Sembra banale ma raramente è un comportamento che mettiamo in opera, l’accensione fulminea delle nostre difese ci impedisce di cogliere questa possibilità. Cambiare la nostra visione delle cose in direzione contraria al pensiero comune, che proprio perché ripetuto e diffuso si mostra più appetibile e facilmente preferibile ad altro, richiede tempo per riflettere e il tempo è una ricchezza che sottovalutiamo.
3- Metafora usata nella psicologia della Gestalt che indica la necessità di applicare una sana aggressività per evitare di introiettare tutto ciò che proviene dall’ambiente esterno, di filtrare solo ciò che è buono per noi.
4- Immagine di Zol Tan by Pixabay