Intelligenza affettiva
‹‹L’intelligenza affettiva è la promotrice di significati esistenziali. Nuove costellazioni istintive esistenziali sono capaci di risvegliare i coraggio, il piacere e le motivazioni per vivere.››
Rolando Mario Toro Araneda (L’INTELLIGENZA AFFETTIVA – 2017, Edizioni Nuova Prhomos)
Quale è stato il segreto del successo della specie umana, della sua evoluzione? Cosa ci ha permesso di diventare la “specie dominante” sul pianeta Terra?
Questa domanda ha interessato da sempre scienziati e pensatori di svariate discipline e le risposte fornite sono state diverse e spesso contrastanti.
E’ stata la scelta di abbandonare la sicurezza del riparo tra le fronde degli alberi, scendere a terra e assumere la posizione eretta, quella che ha permesso ai nostri antenati di avere una maggiore profondità e completezza di visione, superando l’erba alta della savana? Forse, ma in natura ci sono tantissime altre specie animali con una vista molto più acuta, profonda e ad ampio raggio.
E’ stata la progressiva trasformazione delle zampe anteriori in mani, con l’utilizzo del pollice opponibile e quindi lo sviluppo della capacità di afferrare, trattenere, colpire, lanciare e raccogliere? Forse, ma questa è caratteristica condivisa con molti altri primati.
O forse la spietatezza nel perseguire i suoi obiettivi senza scrupoli perseguendo la machiavellica filosofia del “fine che giustifica i mezzi”? La natura tuttavia ci mostra che anche specie animali molto determinate e feroci nel conquistare e difendere il proprio territorio si sono comunque nel tempo estinte.
Si è sostenuto che il segreto fosse l’aumento del volume della scatola cranica e del cervello, che avrebbe consentito una maggiore intelligenza, ma recenti ricerche hanno stabilito che altre specie di ominidi, come ad esempio i Neanderthal, avessero un cervello più grande di quello dell’uomo sapiens, facoltà che però non gli ha impedito di estinguersi.
Altri hanno sostenuto che il segreto sia stata l’evoluzione del linguaggio e quindi la facilità nel comunicare e di condividere informazioni, concetti, idee, segnali di pericolo, la localizzazione di cibo e prede tra i membri di un gruppo sociale. Questa evoluzione, dall’emissione di suoni gutturali e primitivi, ad un vero e proprio linguaggio articolato, avrebbe anche consentito di mantenere viva nel tempo la memoria e l’identità del clan, attraverso il racconto della sua storia da parte dei membri più anziani.
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la maggiore competenza nel linguaggio espressa attraverso lo sviluppo del pettegolezzo e l’espressione del giudizio, abbia permesso all’interno del gruppo l’identificazione delle persone meno affidabili e di quelle più capaci e adatte ad assumere incarichi di responsabilità, indipendentemente dalla loro aggressività e prestanza fisica.
Tutte queste possibilità sono solo ipotesi, ma è interessante notare due elementi:
- tutte le specie animali hanno sviluppato un sofisticato sistema di comunicazione intraspecie;
- gruppi, stormi o branchi animali non sempre sono guidati dall’esemplare fisicamente più forte, ma spesso dall’elemento più anziano, abile, esperto e saggio, indifferentemente maschio o femmina.
Ancora oggi si insiste nel ritenere che l’elemento fondamentale per la sopravvivenza, riuscita e evoluzione della nostra specie sia stata l’intelligenza razionale, la capacità di ragionamento, di analisi, di discriminazione delle varie opportunità e delle opzioni che la vita propone, dimenticando che spesso, per non dire quasi sempre, le nostre azioni sono comandate dagli istinti innati, preposti alla salvaguardia ed al benessere della specie e che solo in un secondo tempo le risposte vengono elaborate dalla corteccia, quella parte del cervello preposta al ragionamento logico.
Per la maggior parte del tempo viaggiamo con il pilota automatico inserito.
Da alcuni anni è stato introdotto, derivante dall’ambito anglosassone, il concetto di intelligenza emotiva: la capacità di consapevolizzare le proprie e altrui emozioni, per riconoscerle e gestirle al fine di adeguare il proprio comportamento alla situazione, prevedendo quindi un’interazione fra il contesto emotivo e quello razionale, allo scopo di ottimizzare i risultati personali e sociali.
Rolando Toro è stato invece rivoluzionario. Il creatore della Biodanza, per primo ha parlato di intelligenza affettiva, affermando che tutte le altre forme di intelligenza da essa hanno origine.
L’intelligenza affettiva è la capacità innata della nostra specie di prendersi cura l’uno dell’altro, di sostenersi vicendevolmente, di essere compassionevoli, amorevoli, empatici, solidali e collaborativi. Le sue affermazioni, nella società attuale, che predilige modelli di sviluppo sociale prettamente individualisti, possono sembrare idilliaci, voli pindarici.
Eppure…
le ultime ricerche scientifiche hanno confermano la bontà delle intuizioni di Rolando Toro. Scoperte archeologiche, paleoantropologiche e paletnologiche, hanno dimostrato come i nostri antichissimi progenitori, sia neandertaliani che sapiens, si prendessero cura dei loro simili feriti e disabili, curandoli, assistendoli e nutrendoli, invece do abbandonarli al loro crudele destino, come la maggior parte delle altre specie animali.
E’ l’affettività, ci suggerisce la Biodanza, il genio della specie, il segreto della nostra riuscita, noi sapiens, animali senza zanne ne artigli, siamo forniti di un’arma potentissima: l’affettività.
In Biodanza l’affettività si manifesta riconoscendo il valore dell’Altro, accogliendolo, accudendolo, gratificandolo, senza alcuna forma di discriminazione. Sperimentando in un contesto affettivo non giudicante il contatto, il tocco sensibile, la carezza, l’abbraccio e grazie alle occasioni fornite dalle danze a due e di gruppo, i partecipanti si percepiscono come simili, non come un nemico o una minaccia dalla quale proteggersi o fuggire e si riabituano a vivere relazioni sane e salutari all’interno del laboratorio e fuori nella loro quotidianità.
Come diceva Rolando, la sessione di Biodanza è un vera e propria occasione di “rieducazione affettiva”.Tutti gli esercizi di Biodanza, le vivencie, privilegiano il feedback nella relazione con l’Altro, in modo tale che ogni contatto sia voluto e reciprocamente accettato e che nessuno dei partecipanti possa mai sentirsi “invaso”.
E’ un meraviglioso percorso verso la matrice della “specie umana”, verso quella socialità sana di cui spesso si parla, ma che, nella realtà, la società non incoraggia né favorisce in alcun modo.
In una sessione di Biodanza riscopriamo il valore nutriente della carezza affettiva e amorevole, la possibilità di riconciliarci con noi stessi e con la nostra specie. Nell’incontro reimpariamo ad accogliere l’Altro a braccia aperte, così come è, senza pretendere di cambiarlo, senza paure, senza discriminazioni, senza doppi fini, semplicemente perché è un essere umano che ha bisogno di un abbraccio, proprio come noi.
Biodanza è un ambiente protetto dove rigenerarsi, dove reimparare ad essere donne e uomini pieni di amore verso il resto dell’umanità, non a parole ma concretamente, attraverso l’incontro autentico e il contatto affettivo.
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